I binari della coscienza
La Maestria
L’essere umano tende a sentirsi dalla parte della ragione omettendo di ascoltare quella dell’altro. Egli vive nella sua bolla incurante della percezione altrui.
L’essere umano afferma continuamente la sua ragione sentendosi defraudato nel momento in cui non viene accolta. Siamo fatti così, dolcemente complicati senza renderci conto che il sentire che l’altro ha inevitabilmente torto, ci induce a segare il ramo sul quale siamo seduti pur di difendere le nostre istanze.
Si tratta di una malattia vera e propria che l’essere umano vive senza rendersi conto del senso di unità insito nella vita stessa e di cui potrebbe avvalersi. L’ignoranza è alla base di questa condizione, la non conoscenza porta inevitabilmente alla frammentazione, e in presenza di questa tendenza non vi può essere guarigione e benessere.
Il problema deriva dal fatto che siamo in presenza di una coscienza limitata che non consente una visione d’insieme, tendente a preservare se stessa in funzione di qualcosa di esterno che viene percepito come minaccia e prevaricazione del proprio feudo. Viviamo le nostre vite in funzione di quelle altrui… da un lato siamo gelosi del nostro modo di essere fino a cercare di imporlo agli altri, dall’altro continuiamo a monitorare dalla nostre torre di guardia tutto ciò che si muove attorno alle mura del nostro castello.
Siamo esseri umani ma la nostra natura animale è ancora ben presente con le sue paure e i suoi istinti. Viviamo con la sensazione di avere la spada di Damocle sulla testa, retta solo da un crine di cavallo simbolo delle preoccupazioni e dei pericoli che incombono sugli esseri umani. Siamo animali selvatici che vagano con un limitato senso di appartenenza tendente più a preservare se stessi che a prendersi cura della collettività.
Il soddisfacimento dei propri bisogni è prioritario e, naturalmente, quest’atteggiamento andrà a ledere quelli altrui, e per potersi giustificare valuterà negli altri l’aggressività di cui si servirà come alibi. L’essere umano vive molto di “pancia”, facendosi guidare dai propri istinti, che per loro natura non sono in grado di portare chiarezza nell’azione, in quanto motivati da pulsioni separative. Finita la premessa, passiamo ora agli aspetti pratici.
Quante volte ci siamo sentiti dalla parte della ragione e quanta soddisfazione nell’addossare agli altri responsabilità che non gli appartenevano. La ragione, come affermato in precedenza, nasce da una visione limitata tendente a nutrire le parti di noi che non vogliono cambiare. Si vive allora come in una tana e fino a quando non ci sentiremo satolli non avremo bisogno di cercare cibo continuando il nostro “vigile letargo”. Allora vivremo il nostro mondo di relazione con sufficiente tranquillità senza sentirci particolarmente minacciati nelle nostre ragioni, e la tana ci proteggerà da possibili conflitti. Le nostre relazioni saranno “civili” mantenendosi ad un livello di tacito accordo dove l’avvallo di potere tenderà a preservare gli spazi di ogni contendente.
Naturalmente, anche se le ragioni non vengono espresse apertamente, esse vagano comunque in branco cercando il cibo necessario per poi trovarlo nella recriminazione continua. Quest’atteggiamento produce un logorio incessante che depaupera le energie, atteggiamento che rinsalda le nostre ragionevoli istanze, additando l’esterno come mandante del nostro malessere e riconoscendo nelle persone in cui riconduciamo la nostra recriminazione, i sicari della nostra possibile morte. Eh sì, non avere ragione è un po’ come morire, che senso ha continuare a vivere in questo modo, tutto ci appare come perduto quando gli altri non ci confermano nella nostra distruttività.
Al di là delle nostre istanze la vita ci vuole migliorare. Perché lo faccia non è argomento di questo articolo, ma anche se lo fosse non saremmo comunque in grado di disquisire su questi massimi sistemi. L’importante è stare bene, per quanto possibile in questo momento, accettando di avere tutti gli elementi per raggiungere questo obiettivo… avere troppe informazioni renderebbe il tutto ancora più pesante senza avere la possibilità di sbrogliare questa matassa.
La tendenza dell’essere umano è quella di portare gli altri nella propria tana, per poi stupirsi che non siano d’accordo nell’inoltrarsi in un antro freddo ed ammuffito dove le ragioni vengono nutrite da continui borbottii di una personalità che non si sente amata. Vorremmo confermate le nostre ragioni senza cambiare a nostra volta… sono sempre gli altri che non capiscono per poi buttarli nella fossa dei coccodrilli se osano mettere in dubbio il nostro regno.
L’esempio che mi sovviene fa riferimento sempre al letargo. Esiste un periodo nel quale percependo le nostre fragilità tenderemo a nutrirci eccessivamente per sostenere i rigori dell’inverno. L’animale fa questo, si ciba aumentando la sua riserva di grasso per tutto il tempo in cui dovrà rimanere nella tana. L’essere umano non è dissimile secondo me, rintanandosi anch’esso nella tana e cibandosi delle proprie illusioni che diverranno recriminazioni. Apparentemente sta bene e manifesta anche un certo grado di accoglienza visto che, “avendo della mangiata”, non è poi così aggressivo. Si chiama quieto vivere: sono bravo perché non ti azzanno, ma non farti vedere in giro se avrò un languorino!
Naturalmente la recriminazione, anche se vissuta sotto traccia, produrrà un dispendio di energie e prima o poi sentiremo il bisogno di ulteriore nutrimento. Vorremmo che il cibo ci arrivasse spontaneamente all’interno della tana, d’altra parte abbiamo ragione e che cosa dovrebbero fare gli altri se non offrirsi in pasto? Il bisogno però di confermare le nostre ragioni aumenta, e con esse la nostra fame, nessuno si offre come cibaria e bisogna uscire allo scoperto. Si comincia a grugnire, a divenire insofferenti, nessuno ci vuole bene con tutto quello che facciamo per loro. La fame aumenta ancora e il bisogno di cibo diventa insostenibile, bisogna andare a caccia prendendo con noi dei battitori provetti che con i loro lamenti possano stanare la selvaggina.
Ululando il nostro dissenso, e rigettando sugli altri la recriminazione, manifestazione della nostra incapacità di realizzare, ci aggireremo nelle lande della nostra coscienza alla ricerca di prede per azzannarle. Nel fare questo le incolperemo di ogni nefandezza, asserendo la nostra assoluta innocenza, anzi, affermando la nostra bontà d’animo fino a far reagire la preda trovando così giustificazione al suo agire violento. Dopo esserci cibati e divenuti satolli, potremo tornare nella tana a schiacciare nuovamente un pisolino.
Nella seconda parte approfondirò questa dinamica facendo esempi concreti presi dalla vita quotidiana.
Per approfondire questo e altri argomenti vi rimandiamo alla sezione Psicologia dello Yoga all’interno del portale della consapevolezza Yoga, Vita e Salute www.yogavitaesalute.it
Graziano Fornaciari