
Sono fatto così!!

Sarà capitato anche a voi
La volpe e l’uva, la favola di Esopo ci racconta che si può stare bene ora se solo riuscissimo a liberarci dalle illusioni generate dall’ignoranza.
Si può stare bene, non in un tempo lontano lontano sulla base delle nostre fantasie che richiamano eventi che sono presenti solo nelle pieghe delle nostre illusioni. Dobbiamo renderci conto che si può stare bene ora, con ciò che si ha e con il nostro mondo di relazioni che, per quanto sia imperfetto, sono il meglio di ciò che possiamo vivere.
Non sto parlando di accontentarsi che, nel significato più comune, ci rimanda alla questione della volpe e dell’uva. Vi ricordate la favola di Esopo: “Una volpe dopo aver sognato di raggiungere un grappolo d’uva, si sveglia accorgendosi che quel grappolo esiste davvero. L’animale affamato tenta con grandi balzi di staccare il grappolo ma ogni sforzo è vano. Constatando di non poterla raggiungere, esclama: tanto è ancora acerba!”.
La morale ci rimanda al fatto che è facile disprezzare ciò che non possiamo ottenere. Fare come la volpe con l’uva significa, metaforicamente, reagire a una sconfitta sostenendo di non aver mai desiderato la vittoria, o disprezzando il premio che si è mancato di ottenere.
Questa modalità di accontentarsi non sembra la soluzione migliore, anzi andrà ad aumentare la propria frustrazione nei confronti di una Vita che non sarà mai matura al punto giusto per poter donare i frutti sperati, naturalmente senza fare la necessaria fatica. Per quanto mi riguarda, accontentarsi, sta acquisendo sempre più un significato diverso; infatti, facendo riferimento alla parola sanscrita “Santosha”, dove il contentarsi significa fare con quello che si ha, si riconosce che non si può avere di meglio e che quello che abbiamo, in fondo, non è poi tanto male.
In pratica, che cosa possiamo fare? Passare dalle parole ai fatti non è mai semplice ma ciò non ci impedisce di provarci. Mi sovviene un esempio di vita vissuta, condivisibile da molti di voi, riguardante le paure che abbiamo. Abbiamo timore che le cose non vadano secondo i nostri desideri, finendo per imporre il nostro punto di vista, percependo quello altrui pericoloso. Come la volpe desideriamo l’uva, auspichiamo di essere gratificati con la segreta speranza che l’altro si adegui a noi senza tirarla troppo per le lunghe. Ma l’altro ha tutto il diritto di comportarsi per ciò che è, anche perché non potrà fare diversamente.
A questo punto succede che la nostra idea riguardante il conseguimento dell’armonia si scontra con la fatica del conseguire. In più, il desiderio di unione comincia a scemare, la fatica del conseguire diventa troppo elevata sulla base della propria illusione, perdendo così l’interesse del bene comune.
Allora mi ritraggo, l’altro è troppo “acerbo” e non è ancora maturo per comprendere la mia ragione ed è inutile fare la fatica visto che non è ancora pronto. Quindi manterrò il mio punto di vista superiore, riconoscendo nell’altro l’incapacità di essere come me. Tornerò a posizionarmi sul mio trono di pietra supportato dal fatto che non avrò poi così bisogno di condividere includendo anche l’altro, ma posso bastare a me stesso.
Ma in fondo non ho raggiunto ciò che volevo, la fatica non è stata compiuta e l’energia è stata inespressa o utilizzata in canali che con il senso di comunione hanno poco da spartire. Per quanto me la possa raccontare, non è una situazione che indica un grande benessere. Ma l’uva mi piace ed il senso di unità insito nella mia anima non darà scampo.
Allora che possiamo fare? Che dite? Proviamo a scendere dal trono di pietra? Che poi detto tra noi, non è così comodo, umido com’è e pieno di muffa. Vale sempre la pena di unire cogliendo nell’altro l’opportunità di andare oltre la propria ragione. È in questi momenti che si può dimostrare la propria forza, quell’essere guerrieri che ci contraddistingue nelle pieghe del nostro vero sé.
“Forza e onore!” avrebbe detto Massimo Decimo Meridio nel film il Gladiatore perché il rischio è sempre accettabile in luogo di una maggiore consapevolezza. Il male non è coeso e mostra sempre delle fratture, infiliamoci in una di esse, cominciando a fare leva con il nostro desiderio di amore. Sosteniamo la fatica e la responsabilità del confrontarci con i nostri limiti, accettando di cadere per poi rialzarci.
La vera forza non è ritrarsi richiudendosi a testuggine, questa è la fragilità di una coscienza che non vuole, malgrado possa tendere la mano. Il nostro essere guerrieri ci deve portare nel campo “nemico”, quello che conosciamo meno, avendo come obiettivo l’abbracciare l’altro unendo i lembi della stessa ferita che solo in questo modo potrà essere risanata. Il male non ha ragione e nel dare ragione a ciò che divide, non spiccheremo mai quel salto che ci permetterà di cogliere la bellezza di cui siamo.
Sul finire dell’articolo mi sovviene un episodio di qualche anno fa in Bretagna. Avevo notato le piante del vischio, il gui come lo chiamano i cugini d’oltralpe. Ma era troppo in alto e allora vedendo un contadino gli chiesi una scala e con il mio francese scolastico ero sicuro di essermi fatto capire. Il contadino però non era per la quale e m’ignorò. *
A quel punto potevo scegliere due opzioni, la prima era quella di vivere la frustrazione di un rifiuto che avrei rinfocolato negli anni a venire creando una faida che lavasse l’onta del disonore… naturalmente sto scherzando, si era capito vero? L’altra, che posi in atto, è stata quella di portare a termine il mio desiderio.
Non mi diedi per vinto, esplorai l’ambiente circostante per trovare qualcosa che mi aiutasse nel mio intento, e quando stavo per perdere le speranze, trovai quello che mi serviva. Un mucchio di pneumatici era lì davanti a me, e allora cominciai a impilarli improvvisando una scala e, nonostante l’instabilità di questa pila di copertoni, riuscii a portare a casa il trofeo.
Di lì a poco sarebbe sorto un anno nuovo e sotto quel vischio avrei baciato mia moglie sentendo ancora di più che fare fatica serve, che andare oltre le proprie ragioni vale sempre la pena, che al di là del guado ci si potrà asciugare con il calore della propria anima che è compimento in essenza.
* Nel tempo il mio francese è migliorato e non ho più pensato che il contadino fosse stato sgarbato, magari temeva solo che lo prendessi in giro… anche perché chiedendogli un escalier gli avevo chiesto una scala con tanto di gradini… se lo incontrassi ora gli chiederei una echelle de campagne e sono certo che quel contadino sarebbe più loquace nei miei confronti.
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Graziano Fornaciari