
L’inutilità del senso di colpa

Vuoi che non lo sappia? Usiamo la percezione invece della superbia.
Come mai mi riesce così difficile portare a compimento con successo un’azione che mi sono prefisso?
Sicuramente vi sarà successo più e più volte di pensare “è tanto che voglio telefonare al tale amico, dopo lo faccio!”, poi passano i giorni e le settimane prima che prendiate in mano quel benedetto telefono e facciate la chiamata. Oppure, vi sarà successo di guardarvi attorno in casa vostra e dire fra voi “bisogna che riordini, che metta a posto quei documenti che sono in giro da un sacco di tempo…”.
Potrei fare centinaia di esempi di questo tipo, ma sono sicura che non ce ne sia bisogno, avete perfettamente capito a cosa mi stia riferendo! Che cos’è che ci porta a procrastinare, talvolta all’infinito, un’azione? Spesso in queste situazioni alla lunga tutti gli alibi cadono anche per chi è più portato a giustificarsi, e ci si arrende al fatto di possedere una certa dose d’indolenza. Ma che cosa ci ferma durante il percorso? Cosa ci impedisce di portare a termine qualcosa che, in effetti, desideriamo fare? Che cosa ci impedisce di essere coerenti?
Lo studio del Raja yoga e della psicologia dello yoga è illuminante a tal proposito. Infatti, la conoscenza anatomica dei corpi sottili, ci aiuta a comprendere come mai noi pensiamo una cosa, spesso ne diciamo un’altra e ne facciamo una terza.
Partiamo dal pensiero: qualsiasi azione che si voglia intraprendere è il frutto di un atto di volontà ed è innanzitutto pensata. E qui inizia il problema: infatti, i pensieri che noi creiamo sono spesso disconnessi, male organizzati e quasi sempre inconsapevoli. Per dirla in un altro modo, noi non siamo padroni della nostra mente, e questo è dovuto sia alla sua frammentarietà, sia al fatto che sul piano mentale esistono “forme pensiero” che influiscono fortemente su di essa senza che noi ce ne rendiamo conto. Pensiamo pensieri degli altri.
E la parola? La parola è creatrice per antonomasia. Spesso però viene utilizzata per nascondere un pensiero che tra l’altro, spesso, non si conosce. Se ci sono spinte che tendono alla contrapposizione, spazi interiori che nascondono contraddizione, conflitto, questi si esprimono attraverso la parola. Ecco perché spesso si dicono cose stupide, disruttive oppure bugie. Vi è, come per il pensiero, mancanza di omogeneità all’interno della coscienza che si manifesta attraverso un uso improprio della parola. Quando la coscienza è purificata la parola è armonica, vera, dolce. Spesso, invece, ferisce oppure soffoca la gioia di chi ci è di fronte, togliendogli vitalità in maniera molto sottile.
L’azione, poi, manifesta in maniera eclatante la difficoltà che si ha nel portare a termine l’atto creativo. La materia del piano fisico è la più densa, la più difficile da plasmare, occorre una buona dose di forza per farlo, di energia. Però non crucciamoci troppo, tutta questa incoerenza è normale, la vita è in movimento e quindi imperfetta, la nostra volontà di azione si incontra con delle forze che spingono in senso contrario e che col tempo, la pazienza e la determinazione arriveremo a superare in potenza fino a renderle innocue così che il pensiero sarà chiaro, lineare ed aderente al Vero, la parola dolce e l’azione coerente ad essi.
Tutto questo non è semplice, anzi, occorre uno sforzo continuo, una determinazione adamantina, il tutto unito a buona dose di leggerezza e di piacere. La coerenza fra pensiero, parola e azione è in ultima analisi, l’Illuminazione, il Samadhi, cioè il prodotto di una coscienza che ha compreso, purificato, oltrepassato tutti i suoi limiti e questi non fungono più da ostacolo al passaggio dell’energia creativa dello Spirito. Quindi in pratica, cosa possiamo fare?
E’ necessario applicare uno sforzo costante nell’attenzione a se stessi senza darsi tregua nella ricerca degli alibi, delle giustificazioni che ci si dà e che sono la punta dell’iceberg della frammentarietà dell’io. Tutto questo è possibile con il supporto della meditazione e il sostegno della conoscenza che viene dal Raja Yoga e dall’Agnihotri.
Maria Luisa Valentini