L’essere umano non agisce liberamente ma è attratto dal bisogno di sperimentare per realizzare completamente se stesso. Nella società odierna abbiamo imparato ad alimentare sottotraccia la rabbia sperando con l’aggressività strisciante di poterci difendere dai soprusi, dato che consideriamo l’altro una minaccia da tenere lontano. La convivialità e l’interesse del bene comune hanno sempre meno peso nei desideri.
L’affermazione di se stesso è un modello che va per la maggiore in seno all’umanità e la freddezza agita nei rapporti alimenta il falso bisogno di superiorità. Non è raro che la falsa accondiscendenza permetta di mantenere una facciata presentabile in modo da continuare ad agire indisturbati. In questo modo il peso della vita quotidiana si fa sempre più pressante e l’interiorità di conseguenza fatica a realizzarsi. Chiusi dentro le nostre finte certezze, quanto poco ascoltiamo veramente cosa hanno da comunicarci gli altri.
Così facendo ci perdiamo tanta vitalità che potrebbe contribuire a scaldare i nostri cuori e dare un senso alla vita. Queste modalità non sono frutto del caso, ma trovano le cause nella coscienza di chi le agisce. Sono indice di una visione newtoniana e meccanicistica che alimenta la sofferenza invece di dissiparla.
Nel 1905 Einstein formulando la teoria della relatività ristretta impresse alla scienza una svolta fondamentale. Newton aveva creato un paradigma che era rimasto in piedi diversi secoli prima dell’avvento della relatività ristretta. La relatività generale descrive l’interazione gravitazionale non più come azione a distanza fra corpi massivi, come era nella teoria newtoniana, ma come effetto di una legge fisica che lega distribuzione e flusso nello spazio-tempo di massa, energia e impulso con la geometria (più specificamente, con la curvatura) dello spazio-tempo medesimo (Wikipedia).
Nonostante l’effervescenza della scienza che ha portato l’uomo moderno a sviluppare dei concetti impensabili nell’ottocento, la vita quotidiana è ancora sotto l’egida della visione newtoniana. Spesso gli esseri umani sono poco inclini a considerare il punto di vista dell’altro e a concepire di poter modificare i propri comportamenti. In molti ambiti si riscontra la tendenza a sopraffare l’altro, possibilmente calpestandolo in modo che non abbia così neanche la possibilità di replicare.
Per fortuna non è la regola e il vivere quotidiano è illuminato da molti aspetti positivi: la voglia di andare avanti, l’affetto, la bontà, la dedizione, l’accoglienza, la curiosità, la simpatia e la lista non finisce qui. Ma l’aggressività palesata nei talk show televisivi non arriva da Marte. Penso che sia la punta dell’iceberg di una delle peggiori modalità umane che tende a riconoscersi nella tracotanza e nella legge del più forte. L’affermazione del proprio punto di vista in altre epoche passava attraverso un duello in piena regola che adesso viene svolto in maniera subdola, ad esempio impedendo ad un altro di parlare alzando la voce oppure agendo l’indifferenza.
L’orgoglio e la vanità personale portano in automatico a percepire un attacco frontale quando toccati. A quel punto una frase rimbomba nella coscienza: “tu non sai chi sono io”. E così all’istante viene eretto un muro alto cento piedi che preserva da ciò che si pensa la causa della sofferenza: l’altro. L’essere umano tende a gravitare intorno ai problemi più che a risolverli. Le scelte difficilmente sono libere ma motivate da parti della coscienza che agiscono un potere gravitazionale sugli eventi in una maniera così potente che è difficile modificarne la traiettoria.
In quei casi spesso la persona inconsapevole pensa: “non ce la faccio a fare altro”. Ma non sa che sta invece affermando: “voglio stare in questa situazione”. I comportamenti fino a qui descritti mi fanno affermare senza paura di smentita che nella coscienza umana vige l’automatismo. L’attività umana è fortemente motivata dal meccanismo a ripetere quanto si percepisce di aver subito esercitando una forza prevalente.
In altre parole i rapporti umani spesso sono minati da un conflitto di potere più o meno strisciante che esercitiamo inconsapevolmente. Il tentativo in atto è di attirare l’attenzione usando una forza distruttiva ben mascherata. In ogni ambito dietro a tutte le nostre difficoltà di relazione vi è il bisogno di attenzione.
Qualsiasi essere umano aspira all’amore e lotta per conquistarlo. Non riuscendo a viverlo interiormente cerchiamo di placare la fame d’amore cercando di attrarre tutto quello che ci sta intorno. Attiriamo la vita per piegarla ai nostri voleri e, visto che è impossibile, ne rimaniamo frustrati e quindi ostili verso il mondo. Se siamo stanchi di queste modalità automatiche possiamo intraprendere la strada dell’attenzione verso noi stessi e il mondo.
La vita ci dà continuamente quello di cui abbiamo bisogno, il problema è che al momento facciamo fatica ad accettarne la spinta di amore entrostante. Vi è una grande notizia che nessun telegiornale annuncia: il cambiamento di visione è possibile. Possiamo iniziare ad osservare la vita da un punto di vista più elevato integrando nella coscienza quanto prospettato matematicamente da Einstein con la teoria della relazione tra energia, materia, spazio e tempo che si modifica in funzione dell’osservatore.
Casomai bisogna vedere se vogliamo iniziare a fare i conti con la meccanicità del comportamento. Invece di reagire soltanto agli impulsi dell’ambiente si può agire in sintonia con ciò che sentiamo profondamente. In altre parole non c’è niente di assolutamente negativo in noi, casomai abbiamo la necessità di imparare a riconoscere ciò che siamo veramente esprimendo una positività possibile, interrompendo così i meccanismi distruttivi.
La scienza dello Yoga ci insegna che è possibile trasformare l’attrazione per bisogno in un amore magnetico e radiante. Se desiderate ciò, vi annuncio la seconda bella notizia: la psicologia dello yoga può dare la strumentazione adeguata per vivere meglio.
Luca Tomberli