
I Purana, testi sacri induisti

I mudra
Antico poema epico, libro preferito dagli hindu, il Ramayana ha un fascino che dura nel tempo. Le avventure di Rama e Sita, mantengono un fascino inalterato.
Una delle maggiori opere di tutto il patrimonio letterario indiano, il Ramayana narra le vicende di Rama, il re ideale, divenuto nel tempo un avatara di Vishnu. E’ attribuito a Valmiki, che visse intorno al 2200 a.C. Valmiki significa “quello del termitaio”: la leggenda narra che il poeta-veggente, dopo una vita dedita a scorrerie e banditismo, si convertì al culto di Rama e si sottopose a una severa immobilità ascetica, così protratta nel tempo che le termiti gli costruirono intorno un termitaio, che ne lasciava scoperti solo gli occhi. Diviso in sette sezioni, comprende 18.800 strofe.
La storia, che da secoli tocca il cuore degli indiani è questa: Rama, principe ereditario di Ayodhya, era figlio del re Dasharatha e di una delle sue tre mogli, la regina Kaushalya. Quando giunse per lui l’epoca di prendere moglie, riuscì a primeggiare fra tutti i pretendenti di Sita, figlia del re Janaka, in quanto lui solo fu in grado di piegare l’arco di Rudra, posseduto dal re. La coppia era molto amata da tutto il popolo e visse ad Ayodhya alcuni anni felici.
Desiderando Dasharatha ritirarsi, per Rama giunse il tempo di essere incoronato re, ma, a seguito della premessa fatta dal padre a una delle mogli di esaudire due suoi desideri, venne nominato re il fratellastro Bharata e Rama fu costretto all’esilio nella foresta. Sita decise di seguirlo, abbandonando i lussi della corte e così fece anche l’altro fratellastro Lakshmana.
Rama, Sita e Lakshmana trascorsero quattordici anni nella foresta, vivendo numerose avventure, tra cui la più importante fu il rapimento di Sita da parte del demone Ravana, re di Lanka. Con l’aiuto del fratellastro Lakshmana e dell’esercito delle scimmie, comandate dal dio-scimmia Hanuman, Rama riuscì ad assalire Lanka e a liberare Sita. Terminati gli anni dell’esilio, Rama e Sita rientrarono a Ayodhya, Rama fu incoronato re, avendo il fratellastro Bharatha riconosciuto in lui il legittimo sovrano.
Ma le tribolazioni dei personaggi non erano terminate: il popolo mormorava sulla prolungata prigionia di Sita presso Ravana, tanto che Rama, per mettere a tacere le dicerie, chiese a Sita di sottoporsi a un’ordalia del fuoco, per provare la propria innocenza. La prova fu superata, ma Sita venne ugualmente mandata in esilio con i due figli, da cui ritornò dopo molti anni. Qui, dopo un ultimo giuramento di innocenza, venne inghiottita dalla terra.
Il Ramayana si conclude con la scena in cui Rama, sulle rive del fiume Sarayu presso cui sorge Ayodhya, viene assorbito dal corpo di Vishnu, dimostrando così la sua origine divina. Uno dei maggiori estimatori del Ramayana fu Satya Sai Baba, secondo cui Rama è l’incarnazione del Dharma, la legge morale che mantiene l’Umanità nella pace e nell’amore, mentre Sita è Brahmajnana, la Consapevolezza dell’Assoluto, che ciascuno deve ripetutamente e strenuamente conquistare attraverso le prove che la vita incessantemente gli pone davanti.
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Anna Shabalin
Immagine in evidenza: Rama e Sita India, Himachal Pradesh, Chamba, 1775-1800