
La rosa dei venti

Il circolo vizioso
Il bisogno di attenzioni è una caratteristica umana, e credo possa essere un ottimo parametro per riconoscere in che punto è situata la coscienza di ognuno.
Ma quanto è grande il bisogno di attenzioni e di avere rassicurazioni in merito a ciò che siamo e che facciamo? Voi che ne dite? Secondo me, nell’ambito della natura umana, viviamo una costante necessità di essere confermati, specialmente nella nostra distruttività, ma di questo parlerò in seguito. Il bisogno di attenzioni è una caratteristica umana, e credo possa essere un ottimo parametro per riconoscere in che punto è situata la coscienza di ognuno.
Ho sentito parlare anche di qualcuno che affermò la necessità di prendere su di sé la propria croce e, a tutt’oggi, non è che questa parabola sia stata digerita ed assimilata, orientandola adeguatamente verso l’assunzione di responsabilità.
Perché nasce il bisogno di attenzioni? Ritengo che dipenda dall’ignoranza vera fonte di ogni distorsione, d’altra parte come si fa a non partire da qui, e da ciò che l’essere umano ignora. Non conoscendo e senza possedere gli elementi per discriminare, avrà sempre a che fare con una coperta corta… e provate ad immaginare da che parte verrà tirata… Intanto, proprio sulla base della propria ignoranza, l’essere umano sarà orientato, prima di ogni altra possibilità, al soddisfacimento dei propri bisogni… vi ricordate la coperta?
Volendo trovare un aspetto positivo in questa modalità, posso dire che cercare di stare bene con se stessi favorirà la possibilità di rendere più gradevole la vita dei nostri simili. Il problema dove si pone? Probabilmente nel fatto che le vie dell’Inferno sono lastricate di buone intenzioni, e l’ignoranza tende a giustificare se stessi a scapito degli altri. Da qualche parte bisogna pur partire, ma si potrà fare meglio in futuro, perché a questo stadio della nostra coscienza chi decide quanto debba essere tirata la coperta, notoriamente corta? Naturalmente il bisogno di attenzioni con tutte le sue variabili.
L’essere umano non si rende conto di quanto sia bello sperimentare, giocandosi anche in quest’aspetto. “Si dai… bello… parliamone”- dice la parte di noi che sospingiamo a mettersi in gioco; ma si allontanerà, fischiettando un motivetto che più o meno sarà: “Non gioco più, me ne vado…” Capito il senso? Ma prima o poi sarà meglio farci i conti, riconoscendo nel bisogno di attenzioni un tentativo tendente a nutrire le nostre pulsioni automatiche, che tenderanno a succhiare la vita ove questa risulti essere troppo vitale per le nostre esigenze bloccanti.
Quante volte abbiamo detto che questi non sono i nostri tempi, che ne vorremmo di diversi più aderenti alla nostra vita? Beh, credo un’infinità di volte, alla presenza di una vita che non può essere piegata ai nostri desideri, aggiungendo per fortuna. Pensate anche solo un istante se l’essere umano potesse flettere la vita a proprio uso e consumo. Fermatevi, anche per pochi istanti a riflettere sulla coscienza umana, notoriamente incapace di comprendere ciò che motiva il proprio agire… poi riflettete sul fatto che ognuno possa esaudire i propri desideri senza tenere conto dell’esigenza altrui, non riconoscendo le reali necessità della propria vita. Mah, un po’ di paura ce l’avrei nel vedere gente con il foglio rosa, quando va bene, guidare un bolide di formula uno percorrendo strade di comune utilizzo. L’esempio mi sembra calzante non vi pare?
Partiamo comunque dal fatto che ognuno farà come potrà, secondo tempi e modi che la propria anima conosce, “rilasciando” il karma secondo la capacità metabolizzante di ognuno. Nessun giudizio in merito, ma non possiamo non vedere in questa modalità, i germi di una probabile malattia. Il bisogno di attenzioni possiamo collocarlo in mezzo a questi due estremi, che potremmo definire come il depresso cronico, che non ce la fa a venirne fuori e di conseguenza tenderà a tirare dentro gli altri, e quello che ti alita a pochi centimetri dal volto timoroso che qualcuno possa sfuggire ai suoi bisogni. In mezzo ci sono tutte le sfumature che ogni essere umano dovrà sperimentare.
Gli esseri umani cercano di nutrirsi senza conoscere le loro reali necessità e tenderanno ad assimilare più di quanto sia nelle loro possibilità, oppure inibire questo desiderio senza dare nutrimento alle loro aspirazioni. In precedenza ho parlato della necessità di adeguare gli altri ai nostri tempi, “inchiodandoli” attraverso il nostro bisogno di attenzioni. Almeno da piccoli eravamo più coerenti affermando spesso il bisogno che la mamma o il papà ci guardassero; se avessimo conservato questa “schiettezza” anche da adulti, tutto sarebbe più semplice. Invece, pur sapendo che non è buono, è vitale per noi affermarlo, bardandoci con maschere di varie fogge pur di raggiungere il nostro obiettivo.
Ma non finisce qui… se verremo scoperti, e ciò accadrà, saliremo sulle barricate della nostra coscienza, agitando il nostro vessillo in nome di una non precisata idea di libertà. Ci sentiremo inibiti dagli altri, senza riconoscere che li stiamo bloccando a nostra volta sulla base dei bisogni che agiteremo per intorbidire le acque. Condividere questa energia non è buono, e la potremmo definire come avvallo di potere, dove le persone vivono di recriminazione, e solo apparentemente desiderose di assumersi la responsabilità del proprio agire.
Quando ci sentiamo negati e non confermati nella nostra distruttività, vorremmo andare via, agendo affinché l’altro ci segua per poterlo tenere legato a noi attraverso la repulsione. Una cellula del pancreas, casomai volesse cambiare organo, non lo potrebbe fare, ma se continuasse in questo intento, probabilmente creerebbe una condizione di malessere. Magari cercherebbe di trovare proseliti nelle altre cellule per insorgere nei confronti di chissà quale ordine precostituito, oppure si metterebbe in un angolo affermando di non volere giocare più… lo stesso dicasi per l’essere umano.
Ogni volta che ci sentiamo non accettati, dobbiamo trovare la forza di riconoscere che il sentirsi non nutriti adeguatamente significa diventare grandi, riconoscendo una lacuna in noi che potrà essere colmata. Quel vuoto è un’occasione che ci permette di assimilare un nutrimento più raffinato, un nutrimento che ci consenta di imporre sempre meno la nostra presenza, coinvolgendo gli altri nei nostri progetti, lasciandoli comunque liberi di aderire o no.
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Graziano Fornaciari