
Le sei scuole filosofiche indiane – prima parte

L’essere umano e i diversi tipi di yoga
Perché un titolo sulle scuole filosofiche indiane? Perché molti di noi utilizzano termini come purusha o prakriti senza conoscere le basi filosofiche.
Con questa seconda parte termino la descrizione delle scuole filosofiche indiane iniziate nella prima parte di questo articolo che troverete a questa pagina web: https://www.yogavitaesalute.it/scuole-filosofiche-indiane-prima-parte/
Yoga
Il darshana Yoga adotta l’impianto teorico del Samkhya, con l’unica differenza di accorpare buddhi, ahamkara e manas in un unico elemento chiamato citta.
Suo scopo è fornire un metodo o disciplina che consenta di fermare il moto incessante di citta, o lo fa sviluppando la capacità di discriminazione fra materia (Prakriti) e spirito (Purusha).
Testo fondamentale del darshana sono gli Yoga Sutra di Patanjali, che espongono un percorso in otto passi (ashtanga yoga = yoga delle otto membra). Questi passi sono: yama (proibizioni), nyama (osservanze), asana (posizione), pranayama (controllo del respiro), pratyahara (ritiro dei sensi), dharana (concentrazione), dhyana (meditazione), samadhi (contemplazione).
Yama e nyama sono regole e condotte etiche di vita finalizzate alla purificazione; asana e pranayama riguardano la purificazione del corpo fisico, denso ed eterico; pratyahara porta alla purificazione del corpo astrale, mentre dharana e dyana si riferiscono alla purificazione del corpo mentale e al conseguente controllo della mente; il samadhi infine è la trascendenza dello stato individuato, quando il soggetto, l’oggetto e la conoscenza diventano uno.
Purva Mimansa
Denominato Purva, anteriore, per distinguerlo in senso logico dalla Uttara, posteriore, questo darshana tratta principalmente dei sacrifici e delle regole che ne devono guidare la corretta esecuzione.
I riti sacri, la cui fonte autorevole sono i Veda, sono considerati dharma, doveri, e celebrandoli correttamente l’uomo agisce a livello microcosmico creando karma positivo e a livello macrocosmico assicurando stabilità e ordine al mondo.
Le regole per l’esecuzione dei sacrifici, stabilite dalla Purva Mimansa, guidano ancora oggi le pratiche religiose quotidiane indù e hanno influenza sulla legislazione.
Uttara Mimansa o Vedanta.
Letteralmente il termine Vedanta significa “la fine dei Veda”, i principi filosofici e dottrinali esposti nelle Upanishad, ultimo capitolo dei Veda, oltre che loro essenza.
L’opera principale è il Vedanta Sutra, attribuita a Badarayana.
Secondo il Vedanta Sutra, causa di tutto ciò che esiste nell’universo è Brahman, increato, eterno e immodificabile, di cui il Purusha e la Prakriti del Samkhya sono manifestazioni.
Il mondo dipende dal volere di Dio ed è il suo lila, il suo gioco.
L’opera tratta anche del destino dell’uomo, del ciclo delle rinascite (samsara) e della liberazione dall’esistenza condizionata (moksha), meta che può essere raggiunta sia attraverso la rinuncia al mondo (sannyasa) sia nella vita attiva.
Il principale interprete del Vedanta fu Shankara (788 – 820 circa) cui si deve la completa sistemazione del Vedanta monistico (advaita), esposta nei commenti alle principali Upanishad e ai Vedanta Sutra.
La dottrina di Shankara si fonda sulla assoluta non dualità della Realtà ultima, il Tutto divino, il Brahman; la molteplicità della manifestazione è solo apparenza (maya).
Nell’essere umano il Brahman è l’Atman, il Sé, il soggetto eterno e reale, che guida e coordina la personalità che agisce nella vita.
La meta suprema dell’uomo è l’identificazione con l’Atman, il divenire uno con il Brahman.
“La conoscenza è il mezzo per la perfetta comprensione del Brahman. La perfetta comprensione del Brahman è la meta suprema degli esseri umani, perché distrugge la radice di ogni male, e segnatamente dell’ignoranza, che è il seme della trasmigrazione” (Shankara).
Anna Shabalin